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Introduzione

La Monadologia (1714) di Gottfried Wilhelm Leibniz

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Nel 1714, il filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz - l'ultimo genio universale del mondo - propose una teoria delle monadi ∞ infinite che, pur sembrando lontana dalla realtà fisica e in contrasto con il realismo scientifico moderno, è stata riconsiderata alla luce degli sviluppi della fisica moderna e più specificamente della non-località.

Leibniz a sua volta fu profondamente influenzato dal filosofo greco Platone e dall'antica filosofia cosmica greca. La sua teoria delle monadi presenta una notevole somiglianza con il mondo delle Idee di Platone come descritto nella famosa Allegoria della Caverna.

La Monadologia (in francese: La Monadologie, 1714) è una delle opere più note della filosofia tarda di Leibniz. È un testo breve che presenta, in circa 90 paragrafi, una metafisica delle sostanze semplici, o monadi ∞ infinite.

Durante il suo ultimo soggiorno a Vienna dal 1712 al settembre 1714, Leibniz scrisse due brevi testi in francese che dovevano essere esposizioni concise della sua filosofia. Dopo la sua morte, i Principes de la nature et de la grâce fondés en raison, che erano destinati al principe Eugenio di Savoia, apparvero in francese nei Paesi Bassi. Il filosofo Christian Wolff e i suoi collaboratori pubblicarono traduzioni in tedesco e latino del secondo testo che divenne noto come La Monadologia.

La monadologia

Di Gottfried Wilhelm Leibniz, 1714

Principia philosophiæ seu theses in gratiam principis Eu-genii conscriptæ

§ 1

La Monade, di cui parleremo qui, non è altro che una sostanza semplice, che entra nei composti; semplice, cioè senza parti (Theod., § 104).

§ 2

E devono esserci delle sostanze semplici, poiché ci sono dei composti; infatti il composto non è altro che un ammasso o aggregatum di semplici.

§ 3

Ora, dove non ci sono parti, non c'è né estensione, né figura, né divisibilità possibile. E queste Monadi sono i veri Atomi della Natura e in una parola gli elementi delle cose.

§ 4

Non c'è nemmeno da temere alcuna dissoluzione, e non esiste alcun modo concepibile attraverso il quale una sostanza semplice possa perire naturalmente (§ 89).

§ 5

Per la stessa ragione non c'è alcun modo per cui una sostanza semplice possa cominciare naturalmente, poiché non potrebbe essere formata per composizione.

§ 6

Così si può dire che le Monadi non possono né cominciare né finire se non tutto d'un colpo, cioè non possono cominciare che per creazione e finire che per annichilazione; mentre ciò che è composto, comincia o finisce per parti.

§ 7

Non c'è modo nemmeno di spiegare come una Monade possa essere alterata o cambiata nel suo interno da qualche altra creatura; poiché non vi si potrebbe trasporre nulla, né concepire in essa alcun movimento interno che possa essere eccitato, diretto, aumentato o diminuito là dentro; come può accadere nei composti, dove ci sono cambiamenti tra le parti. Le Monadi non hanno finestre attraverso le quali qualcosa possa entrare o uscire. Gli accidenti non possono staccarsi né vagare fuori dalle sostanze, come facevano un tempo le specie sensibili degli Scolastici. Così né sostanza né accidente può entrare dall'esterno in una Monade.

§ 8

Tuttavia è necessario che le Monadi abbiano alcune qualità, altrimenti non sarebbero nemmeno degli esseri. E se le sostanze semplici non differissero per le loro qualità, non ci sarebbe modo di percepire alcun cambiamento nelle cose; poiché ciò che è nel composto non può venire che dagli ingredienti semplici; e le Monadi, essendo senza qualità, sarebbero indistinguibili l'una dall'altra, dato che non differiscono nemmeno in quantità: e di conseguenza, supponendo il pieno, ogni luogo riceverebbe sempre, nel movimento, solo l'equivalente di ciò che aveva avuto, e uno stato delle cose sarebbe indiscernibile dall'altro.

§ 9

È necessario inoltre che ogni Monade sia differente da ogni altra. Perché non ci sono mai nella natura due esseri che siano perfettamente l'uno come l'altro e dove non sia possibile trovare una differenza interna, o fondata su una denominazione intrinseca.

§ 10

Do anche per assodato che ogni essere creato è soggetto al cambiamento, e di conseguenza anche la Monade creata, e che questo cambiamento è continuo in ciascuna.

§ 11

Da quanto abbiamo appena detto consegue che i cambiamenti naturali delle Monadi provengono da un principio interno, poiché una causa esterna non potrebbe influire sul suo interno (§ 396, § 900).

§ 12

Ma è necessario anche che oltre al principio del cambiamento ci sia un dettaglio di ciò che cambia, che costituisca per così dire la specificazione e la varietà delle sostanze semplici.

§ 13

Questo dettaglio deve racchiudere una molteplicità nell'unità o nel semplice. Poiché ogni cambiamento naturale avviene per gradi, qualcosa cambia e qualcosa rimane; e di conseguenza è necessario che nella sostanza semplice ci sia una pluralità di affezioni e di rapporti, benché non ci siano parti.

§ 14

Lo stato transitorio, che racchiude e rappresenta una molteplicità nell'unità o nella sostanza semplice, non è altro che ciò che chiamiamo Percezione, che va distinta dall'appercezione o dalla coscienza, come apparirà in seguito. Ed è in questo che i Cartesiani hanno molto sbagliato, avendo considerato nulle le percezioni di cui non ci si accorge. È anche questo che li ha fatti credere che solo gli spiriti fossero Monadi e che non ci fossero anime degli Animali né altre Entelechie; e che hanno confuso con il volgo un lungo stordimento con una morte rigorosa, cosa che li ha fatti cadere nel pregiudizio scolastico delle anime interamente separate, e ha persino confermato gli spiriti mal disposti nell'opinione della mortalità delle anime.

§ 15

L'azione del principio interno che produce il cambiamento o il passaggio da una percezione a un'altra può essere chiamata Appetizione: è vero che l'appetito non può sempre giungere interamente a tutta la percezione verso cui tende, ma ne ottiene sempre qualcosa e giunge a percezioni nuove.

§ 16

Noi stessi sperimentiamo una molteplicità nella sostanza semplice, quando troviamo che il minimo pensiero di cui ci accorgiamo racchiude una varietà nell'oggetto. Così tutti coloro che riconoscono che l'anima è una sostanza semplice, devono riconoscere questa molteplicità nella Monade; e il Signor Bayle non avrebbe dovuto trovarvi difficoltà, come ha fatto nel suo Dizionario all'articolo Rorarius.

§ 17

Si è obbligati d'altronde a confessare che la Percezione e ciò che ne dipende è inspiegabile mediante ragioni meccaniche, cioè mediante figure e movimenti. E immaginando che ci sia una Macchina la cui struttura faccia pensare, sentire, avere percezione; la si potrà concepire ingrandita conservando le stesse proporzioni, in modo che vi si possa entrare come in un mulino. E posto ciò, visitandola all'interno non vi si troveranno che pezzi che si spingono l'un l'altro, e mai qualcosa che spieghi una percezione. Quindi è nella sostanza semplice, e non nel composto o nella macchina che la si deve cercare. Inoltre non c'è altro che si possa trovare nella sostanza semplice, cioè le percezioni e i loro cambiamenti. È solo in questo che possono consistere tutte le Azioni interne delle sostanze semplici (Pref. ***, 2 b5).

§ 18

Si potrebbe dare il nome di Entelechie a tutte le sostanze semplici, o Monadi create, poiché hanno in sé una certa perfezione (échousi to entelés), vi è una sufficienza (autarkeia) che le rende fonti delle loro azioni interne e per così dire degli automi incorporei (§ 87).

§ 19

Se vogliamo chiamare Anima tutto ciò che ha percezioni e appetiti nel senso generale che ho appena spiegato, tutte le sostanze semplici o Monadi create potrebbero essere chiamate Anime; ma, siccome il sentimento è qualcosa di più di una semplice percezione, acconsento che il nome generale di Monadi ed entelechie basti per le sostanze semplici che avranno solo quello; e che si chiamino Anime solo quelle la cui percezione è più distinta e accompagnata da memoria.

§ 20

Poiché sperimentiamo in noi stessi uno stato in cui non ricordiamo nulla e non abbiamo alcuna percezione distinta; come quando sveniamo o quando siamo sopraffatti da un sonno profondo senza alcun sogno. In questo stato l'anima non differisce sensibilmente da una semplice Monade; ma poiché questo stato non è durevole, e l'anima ne esce, essa è qualcosa di più (§ 64).

§ 21

E non ne consegue che allora la sostanza semplice sia priva di percezione. Ciò non è possibile per le ragioni suddette; poiché non può perire, non può nemmeno sussistere senza qualche affezione che non è altro che la sua percezione: ma quando c'è una grande moltitudine di piccole percezioni, dove non c'è nulla di distinto, si è storditi; come quando si gira continuamente nello stesso senso più volte di seguito, dove sopraggiunge una vertigine che può farci svenire e che non ci lascia distinguere nulla. E la morte può dare questo stato agli animali per un certo tempo.

§ 22

E poiché ogni stato presente di una sostanza semplice è naturalmente una conseguenza del suo stato precedente, tanto che il presente è gravido del futuro (§ 360);

§ 23

Dunque, poiché risvegliandosi dallo stordimento ci si accorge delle proprie percezioni, è necessario che se ne siano avute immediatamente prima, anche se non ce ne si era accorti; poiché una percezione non può venire naturalmente che da un'altra percezione, come un movimento non può venire naturalmente che da un movimento (§ 401-403).

§ 24

Si vede da ciò che se non avessimo nulla di distinto e per così dire di rilevante, e di più alto gusto nelle nostre percezioni, saremmo sempre nello stordimento. E questo è lo stato delle Monadi nude.

§ 25

Vediamo anche che la Natura ha dato percezioni rilevanti agli animali, attraverso la cura che ha posto nel fornire loro organi che raccolgono diversi raggi di luce o diverse ondulazioni dell'aria, per renderle più efficaci attraverso la loro unione. C'è qualcosa di simile nell'odorato, nel gusto e nel tatto, e forse in molti altri sensi che ci sono sconosciuti. E spiegherò presto come ciò che accade nell'anima rappresenti ciò che accade negli organi.

§ 26

La memoria fornisce una specie di consecuzione alle anime, che imita la ragione, ma che deve essere distinta da essa. Vediamo infatti che gli animali, avendo la percezione di qualcosa che li colpisce e di cui hanno avuto una percezione simile in precedenza, si aspettano per la rappresentazione della loro memoria ciò che era stato unito in quella percezione precedente e sono portati a sentimenti simili a quelli che avevano provato allora. Per esempio: quando si mostra il bastone ai cani, si ricordano del dolore che ha causato loro e guaiscono e fuggono (Prélim.6, § 65).

§ 27

E la forte immaginazione che li colpisce e li commuove, viene o dalla grandezza o dalla moltitudine delle percezioni precedenti. Perché spesso un'impressione forte produce tutto in una volta l'effetto di una lunga abitudine o di molte percezioni mediocri reiterate.

§ 28

Gli uomini agiscono come le bestie, nella misura in cui le consecuzioni delle loro percezioni si fanno solo per il principio della memoria; assomigliando ai medici empirici, che hanno una semplice pratica senza teoria; e noi siamo solo empirici nei tre quarti delle nostre azioni. Per esempio, quando ci si aspetta che domani ci sarà giorno, si agisce da empirici, perché è sempre stato così finora. Solo l'astronomo lo giudica per ragione.

§ 29

Ma la conoscenza delle verità necessarie ed eterne è ciò che ci distingue dai semplici animali e ci fa avere la Ragione e le scienze; elevandoci alla conoscenza di noi stessi e di Dio. E questo è ciò che si chiama in noi Anima ragionevole, o Spirito.

§ 30

È anche attraverso la conoscenza delle verità necessarie e le loro astrazioni che siamo elevati agli atti riflessivi, che ci fanno pensare a ciò che si chiama io e a considerare che questo o quello è in noi: ed è così che pensando a noi, pensiamo all'Essere, alla Sostanza, al semplice e al composto, all'immateriale e a Dio stesso; concependo che ciò che è limitato in noi, è in lui senza limiti. E questi atti riflessivi forniscono gli oggetti principali dei nostri ragionamenti (Théod., Préf. *, 4, a7)

§ 31

E non ne consegue che allora la sostanza semplice sia priva di ogni percezione. I nostri ragionamenti sono fondati su due grandi principi, quello di contraddizione in virtù del quale giudichiamo falso ciò che la contiene, e vero ciò che è opposto o contraddittorio al falso (§ 44, § 196).

§ 32

E quello della ragione sufficiente, in virtù del quale consideriamo che nessun fatto può essere vero o esistente, nessuna enunciazione veritiera, senza che vi sia una ragione sufficiente per cui sia così e non altrimenti. Sebbene queste ragioni il più delle volte non possano esserci note (§ 44, § 196).

§ 33

Vi sono anche due tipi di verità, quelle di Ragionamento e quelle di Fatto. Le verità di Ragionamento sono necessarie e il loro opposto è impossibile, mentre quelle di Fatto sono contingenti e il loro opposto è possibile. Quando una verità è necessaria, se ne può trovare la ragione attraverso l'analisi, risolvendola in idee e verità più semplici, fino a giungere alle primitive (§ 170, 174, 189, § 280-282, § 367. Abrégé object. 3).

§ 34

È così che presso i Matematici, i teoremi di speculazione e i canoni di pratica sono ridotti dall'analisi alle Definizioni, Assiomi e Richieste.

§ 35

E vi sono infine delle idee semplici di cui non si può dare la definizione; vi sono anche assiomi e postulati, o in una parola, principi primitivi, che non possono essere dimostrati e non ne hanno bisogno: e sono le enunciazioni identiche, il cui opposto contiene una contraddizione esplicita (§ 36, 37, 44, 45, 49, 52, 121-122, 337, 340-344).

§ 36

Ma la ragione sufficiente si deve trovare anche nelle verità contingenti o di fatto, cioè nella successione delle cose diffuse nell'universo delle creature; dove la risoluzione in ragioni particolari potrebbe andare a un dettaglio senza limiti, a causa dell'immensa varietà delle cose della Natura e della divisione dei corpi all'infinito. C'è un'infinità di figure e di movimenti presenti e passati che entrano nella causa efficiente della mia scrittura presente; e c'è un'infinità di piccole inclinazioni e disposizioni della mia anima, presenti e passate, che entrano nella causa finale.

§ 37

E poiché tutto questo dettaglio non coinvolge che altri contingenti anteriori o più dettagliati, ciascuno dei quali ha ancora bisogno di un'analisi simile per renderne ragione, non si è più avanzati: e bisogna che la ragione sufficiente o ultima sia fuori dalla successione o serie di questo dettaglio delle contingenze, per quanto infinito possa essere.

§ 38

Ed è così che la ragione ultima delle cose deve essere in una sostanza necessaria, nella quale il dettaglio dei cambiamenti sia solo eminentemente, come nella fonte: e questo è ciò che chiamiamo Dio (§ 7).

§ 39

Ora questa sostanza essendo una ragione sufficiente di tutto questo dettaglio, il quale è anche collegato ovunque; c'è un solo Dio, e questo Dio è sufficiente.

§ 40

Si può anche giudicare che questa sostanza suprema che è unica, universale e necessaria, non avendo nulla fuori di sé che ne sia indipendente, ed essendo una semplice conseguenza dell'essere possibile; deve essere incapace di limiti e contenere tutta la realtà possibile.

§ 41

Da cui ne consegue che Dio è assolutamente perfetto; la perfezione non essendo altro che la grandezza della realtà positiva presa precisamente, mettendo da parte i limiti o confini nelle cose che ne hanno. E là dove non vi sono confini, cioè in Dio, la perfezione è assolutamente infinita (§ 22, Pref. *, 4 a).

§ 42

Ne consegue anche che le creature hanno le loro perfezioni dall'influenza di Dio, ma hanno le loro imperfezioni dalla loro natura propria, incapace di essere senza limiti. Poiché è in questo che si distinguono da Dio. Questa imperfezione originale delle creature si nota nell'inerzia naturale dei corpi (§ 20, 27-30, 153, 167, 377 e segg.).

§ 43

È vero anche che in Dio non vi è solo la fonte delle esistenze, ma anche quella delle essenze, in quanto reali, o di ciò che vi è di reale nella possibilità. Questo perché l'intelletto di Dio è la regione delle verità eterne, o delle idee da cui dipendono, e senza di lui non vi sarebbe nulla di reale nelle possibilità, e non solo nulla di esistente, ma anche nulla di possibile (§ 20).

§ 44

Poiché è necessario che se vi è una realtà nelle essenze o possibilità, o nelle verità eterne, questa realtà sia fondata in qualcosa di esistente e di attuale; e di conseguenza nell'esistenza dell'Essere necessario, nel quale l'essenza racchiude l'esistenza, o nel quale è sufficiente essere possibile per essere attuale (§ 184-189, 335).

§ 45

Così solo Dio (o l'Essere necessario) ha questo privilegio che deve esistere se è possibile. E poiché nulla può impedire la possibilità di ciò che non racchiude alcun limite, alcuna negazione, e di conseguenza, alcuna contraddizione, questo solo basta per conoscere l'esistenza di Dio a priori. L'abbiamo provata anche attraverso la realtà delle verità eterne. Ma l'abbiamo appena provata anche a posteriori poiché esistono esseri contingenti, i quali non potrebbero avere la loro ragione ultima o sufficiente se non nell'essere necessario, che ha la ragione della sua esistenza in se stesso.

§ 46

Tuttavia non bisogna immaginare con alcuni che le verità eterne, essendo dipendenti da Dio, siano arbitrarie e dipendano dalla sua volontà, come Cartesio sembra aver inteso e poi M. Poiret. Ciò è vero solo per le verità contingenti, il cui principio è la convenienza o la scelta del migliore; mentre le verità necessarie dipendono unicamente dal suo intelletto, e ne sono l'oggetto interno (§ 180-184, 185, 335, 351, 380).

§ 47

Così Dio solo è l'unità primitiva, o la sostanza semplice originaria, di cui tutte le Monadi create o derivative sono produzioni e nascono, per così dire, da Fulgurazioni continue della Divinità di momento in momento, limitate dalla recettività della creatura, alla quale è essenziale essere limitata (§ 382-391, 398, 395).

§ 48

Vi è in Dio la Potenza, che è la fonte di tutto, poi la Conoscenza che contiene il dettaglio delle idee, e infine la Volontà, che produce i cambiamenti o le produzioni secondo il principio del meglio (§ 7,149-150). E questo corrisponde a ciò che, nelle monadi create, costituisce il soggetto o la base, la facoltà percettiva e la facoltà appetitiva. Ma in Dio questi attributi sono assolutamente infiniti o perfetti; e nelle Monadi create o nelle entelechie (o perfectihabies, come Ermolao Barbaro traduceva questa parola) non ne sono che imitazioni, nella misura in cui vi è perfezione (§ 87).

§ 49

La creatura è detta agire all'esterno in quanto ha perfezione, e patire da un'altra, in quanto è imperfetta. Così si attribuisce l'azione alla Monade, in quanto ha percezioni distinte, e la passione in quanto ne ha di confuse (§ 32, 66, 386).

§ 50

E una creatura è più perfetta di un'altra, in quanto si trova in essa ciò che serve a rendere ragione a priori di ciò che accade nell'altra, ed è per questo che si dice che agisce sull'altra.

§ 51

Ma nelle sostanze semplici è solo un'influenza ideale di una monade sull'altra, che può avere il suo effetto solo attraverso l'intervento di Dio, in quanto nelle idee di Dio una monade richiede con ragione che Dio, nel regolare le altre fin dall'inizio delle cose, tenga conto di essa. Poiché una Monade creata non potrebbe avere un'influenza fisica sull'interno dell'altra, è solo attraverso questo mezzo che l'una può avere dipendenza dall'altra (§ 9, 54, 65-66, 201. Compendio ogg. 3).

§ 52

Ed è per questo che tra le creature le azioni e passioni sono reciproche. Poiché Dio, confrontando due sostanze semplici, trova in ciascuna delle ragioni che lo obbligano ad adattarvi l'altra; e di conseguenza ciò che è attivo sotto certi aspetti, è passivo secondo un altro punto di vista: attivo in quanto ciò che si conosce distintamente in esso serve a rendere ragione di ciò che accade in un altro; e passivo in quanto la ragione di ciò che accade in esso si trova in ciò che si conosce distintamente in un altro (§ 66).

§ 53

Ora, poiché vi è un'infinità di universi possibili nelle Idee di Dio e ne può esistere uno solo, deve esserci una ragione sufficiente della scelta di Dio, che lo determina all'uno piuttosto che all'altro (§ 8, 10, 44, 173, 196 e segg., 225, 414-416).

§ 54

E questa ragione non può trovarsi che nella convenienza, o nei gradi di perfezione, che questi mondi contengono; ogni possibile avendo diritto di pretendere all'esistenza nella misura della perfezione che racchiude (§ 74, 167, 350, 201, 130, 352, 345 e segg., 354).

§ 55

E questa è la causa dell'esistenza del migliore, che la saggezza fa conoscere a Dio, che la sua bontà gli fa scegliere, e che la sua potenza gli fa produrre (§ 8,7, 80, 84, 119, 204, 206, 208. Compendio ogg. 1, ogg. 8).

§ 56

Ora questo legame o questo adattamento di tutte le cose create a ciascuna e di ciascuna a tutte le altre, fa sì che ogni sostanza semplice abbia rapporti che esprimono tutte le altre, e che sia di conseguenza uno specchio vivente perpetuo dell'universo (§ 130,360).

§ 57

E, come una stessa città guardata da diversi lati appare del tutto diversa, ed è come moltiplicata prospetticamente; accade similmente che, per la moltitudine infinita delle sostanze semplici, ci siano come altrettanti universi differenti, che non sono tuttavia che le prospettive di uno solo secondo i diversi punti di vista di ogni Monade.

§ 58

Ed è il mezzo per ottenere tanta varietà quanto è possibile, ma con il più grande ordine che si possa, cioè, è il mezzo per ottenere tanta perfezione quanto si può (§ 120, 124, 241 segg., 214, 243, 275).

§ 59

Inoltre è solo questa ipotesi (che oso dire dimostrata) che eleva come si deve la grandezza di Dio: è ciò che Monsieur Bayle riconobbe, quando nel suo Dizionario (articolo Rorarius) fece delle obiezioni, dove fu persino tentato di credere che io dessi troppo a Dio, e più di quanto fosse possibile. Ma non poté allegare alcuna ragione per cui questa armonia universale, che fa sì che ogni sostanza esprima esattamente tutte le altre attraverso i rapporti che ha con esse, fosse impossibile.

§ 60

Si vede d'altronde in ciò che ho appena riportato le ragioni a priori per cui le cose non potrebbero andare diversamente. Poiché Dio, nel regolare il tutto, ha avuto riguardo per ogni parte, e in particolare per ogni monade, la cui natura, essendo rappresentativa, non potrebbe essere limitata a rappresentare solo una parte delle cose; sebbene sia vero che questa rappresentazione è solo confusa nel dettaglio dell'intero universo, e può essere distinta solo in una piccola parte delle cose, cioè in quelle che sono o le più vicine o le più grandi rispetto a ciascuna delle Monadi; altrimenti ogni monade sarebbe una Divinità. Non è nell'oggetto, ma nella modificazione della conoscenza dell'oggetto, che le monadi sono limitate. Esse tendono tutte confusamente all'infinito, al tutto; ma sono limitate e distinte dai gradi delle percezioni distinte.

§ 61

E i composti simboleggiano in ciò con i semplici. Poiché, essendo tutto pieno, il che rende tutta la materia collegata, e poiché nel pieno ogni movimento produce qualche effetto sui corpi distanti, in proporzione alla distanza, in modo che ogni corpo è influenzato non solo da quelli che lo toccano, e risente in qualche modo di tutto ciò che accade loro, ma anche attraverso loro risente ancora di quelli che toccano i primi, dai quali è toccato immediatamente: ne consegue che questa comunicazione si estende a qualsiasi distanza. E di conseguenza ogni corpo risente di tutto ciò che accade nell'universo; tanto che colui che vede tutto potrebbe leggere in ciascuno ciò che accade ovunque e anche ciò che è accaduto o accadrà; osservando nel presente ciò che è lontano, tanto nel tempo quanto nello spazio: sumpnoia panta, diceva Ippocrate. Ma un'Anima non può leggere in se stessa se non ciò che vi è rappresentato distintamente, non potrebbe sviluppare tutto in una volta tutte le sue pieghe, poiché esse vanno all'infinito.

§ 62

Così, sebbene ogni monade creata rappresenti l'intero universo, essa rappresenta più distintamente il corpo che le è particolarmente assegnato e di cui costituisce l'entelechia: e poiché questo corpo esprime l'intero universo attraverso la connessione di tutta la materia nel pieno, l'anima rappresenta anche l'intero universo rappresentando questo corpo, che le appartiene in modo particolare (§ 400).

§ 63

Il corpo appartenente a una Monade, che ne è l'entelechia o l'Anima, costituisce con l'entelechia ciò che possiamo chiamare un vivente, e con l'anima ciò che chiamiamo un animale. Ora, questo corpo di un vivente o di un animale è sempre organico; poiché ogni Monade è uno specchio dell'universo a suo modo, e l'universo è regolato in un ordine perfetto, deve esserci anche un ordine nel rappresentante, cioè nelle percezioni dell'anima, e di conseguenza nel corpo, secondo il quale l'universo vi è rappresentato (§ 403).

§ 64

Così ogni corpo organico di un vivente è una specie di macchina divina, o di automa naturale, che supera infinitamente tutti gli automi artificiali. Perché una macchina fatta dall'arte dell'uomo non è macchina in ciascuna delle sue parti. Per esempio: il dente di una ruota di ottone ha parti o frammenti che non sono più qualcosa di artificiale e non hanno più nulla che indichi la macchina in relazione all'uso a cui la ruota era destinata. Ma le macchine della natura, cioè i corpi viventi, sono ancora macchine nelle loro minime parti, fino all'infinito. È questa la differenza tra la Natura e l'arte, cioè tra l'arte Divina e la nostra (§ 134, 146, 194, 483).

§ 65

E l'autore della natura ha potuto realizzare questo artificio divino e infinitamente meraviglioso, perché ogni porzione della materia non è solo divisibile all'infinito come gli antichi hanno riconosciuto, ma anche suddivisa attualmente senza fine, ogni parte in parti, ciascuna delle quali ha qualche movimento proprio, altrimenti sarebbe impossibile che ogni porzione della materia potesse esprimere tutto l'universo (Prelim. [Disc. d. l. conform.], § 70. Teod., §195).

§ 66

Da ciò si vede che c'è un mondo di creature, di viventi, di animali, di entelechie, di anime nella minima parte della materia.

§ 67

Ogni porzione della materia può essere concepita come un giardino pieno di piante, e come uno stagno pieno di pesci. Ma ogni ramo della pianta, ogni membro dell'animale, ogni goccia dei suoi umori è ancora un tale giardino, o un tale stagno.

§ 68

E sebbene la terra e l'aria intercettate tra le piante del giardino, o l'acqua intercettata tra i pesci dello stagno, non siano né pianta né pesce; contengono tuttavia ancora questi, ma il più delle volte di una sottigliezza a noi impercettibile.

§ 69

Così non c'è nulla di incolto, di sterile, di morto nell'universo, nessun caos, nessuna confusione se non in apparenza; più o meno come apparirebbe in uno stagno a una distanza dalla quale si vedrebbe un movimento confuso e un brulichio, per così dire, di pesci dello stagno, senza discernere i pesci stessi.

§ 70

Si vede da ciò che ogni corpo vivente ha un'entelechia dominante che è l'anima nell'animale; ma le membra di questo corpo vivente sono piene di altri viventi, piante, animali, ciascuno dei quali ha ancora la sua entelechia, o la sua anima dominante.

§ 71

Ma non bisogna immaginare con alcuni, che avevano mal interpretato il mio pensiero, che ogni anima abbia una massa o porzione della materia propria o assegnata a sé per sempre, e che possieda di conseguenza altri viventi inferiori, destinati sempre al suo servizio. Poiché tutti i corpi sono in un flusso perpetuo come dei fiumi; e delle parti vi entrano e ne escono continuamente.

§ 72

Così l'anima non cambia corpo che poco a poco e per gradi, in modo che non è mai spogliata tutto d'un colpo di tutti i suoi organi; e c'è spesso metamorfosi negli animali, ma mai metempsicositrasmigrazione delle Anime: non ci sono nemmeno Anime completamente separate, né geni senza corpo. Solo Dio ne è completamente distaccato.

§ 73

È ciò che fa anche sì che non ci sia mai né generazione intera, né morte perfetta presa nel rigore del termine, consistente nella separazione dell'anima. E ciò che chiamiamo Generazioni sono sviluppi e accrescimenti; come ciò che chiamiamo morti, sono avvolgimenti e diminuzioni.

§ 74

I filosofi sono stati molto imbarazzati sull'origine delle forme, entelechie, o Anime; ma oggi, quando ci si è accorti, attraverso ricerche esatte fatte sulle piante, gli insetti e gli animali, che i corpi organici della natura non sono mai prodotti da un caos o da una putrefazione; ma sempre dai semi, nei quali c'era senza dubbio qualche preformazione; si è giudicato che non solo il corpo organico vi era già prima della concezione, ma anche un'anima in questo corpo, e in una parola l'animale stesso; e che per mezzo della concezione questo animale è stato solo disposto a una grande trasformazione per diventare un animale di un'altra specie.

§ 75

Gli animali, alcuni dei quali sono elevati al grado dei più grandi animali per mezzo della concezione, possono essere chiamati spermatici; ma quelli tra loro che rimangono nella loro specie, cioè la maggior parte, nascono, si moltiplicano e sono distrutti come i grandi animali, e c'è solo un piccolo numero di eletti che passa a un più grande teatro.

§ 76

Ma questa era solo la metà della verità: ho dunque giudicato che se l'animale non comincia mai naturalmente, non finisce nemmeno naturalmente; e che non solo non ci sarà generazione, ma anche nessuna distruzione intera, né morte presa nel rigore del termine. E questi ragionamenti fatti a posteriori e tratti dalle esperienze si accordano perfettamente con i miei principi dedotti a priori come sopra.

§ 77

Così si può dire che non solo l'anima (specchio di un universo indistruttibile) è indistruttibile, ma anche l'animale stesso, sebbene la sua macchina perisca spesso in parte, e abbandoni o prenda spoglie organiche.

§ 78

Questi principi mi hanno dato modo di spiegare naturalmente l'unione o la conformità dell'anima e del corpo organico. L'anima segue le proprie leggi e il corpo le sue; e si incontrano in virtù dell'armonia prestabilita tra tutte le sostanze, poiché sono tutte rappresentazioni di uno stesso universo.

§ 79

Le anime agiscono secondo le leggi delle cause finali attraverso appetizioni, fini e mezzi. I corpi agiscono secondo le leggi delle cause efficienti o dei movimenti. E i due regni, quello delle cause efficienti e quello delle cause finali, sono armonici tra loro.

§ 80

Cartesio ha riconosciuto che le anime non possono dare forza ai corpi, poiché c'è sempre la stessa quantità di forza nella materia. Tuttavia, credeva che l'anima potesse cambiare la direzione dei corpi. Ma questo perché ai suoi tempi non si conosceva la legge della natura, che comporta anche la conservazione della stessa direzione totale nella materia. Se l'avesse notata, sarebbe giunto al mio Sistema dell'armonia prestabilita.

§ 81

Questo Sistema fa sì che i corpi agiscano come se (per impossibile) non ci fossero anime; e che le Anime agiscano come se non ci fossero corpi; e che entrambi agiscano come se l'uno influenzasse l'altro.

§ 82

Quanto agli Spiriti o Anime razionali, sebbene io trovi che in fondo ci sia la stessa cosa in tutti i viventi e animali, come abbiamo appena detto (vale a dire che l'animale e l'anima non iniziano che con il mondo e non finiscono nemmeno come il mondo), c'è tuttavia questa particolarità negli Animali razionali: i loro piccoli Animali spermatici, finché sono solo questo, hanno solamente anime ordinarie o sensitive; ma non appena quelli che sono eletti, per così dire, giungono attraverso un'effettiva concezione alla natura umana, le loro anime sensitive sono elevate al grado della ragione e alla prerogativa degli Spiriti.

§ 83

Tra le altre differenze che ci sono tra le Anime ordinarie e gli Spiriti, di cui ho già indicato una parte, c'è ancora questa: che le anime in generale sono specchi viventi o immagini dell'universo delle creature; ma gli spiriti sono anche immagini della Divinità stessa, o dell'autore stesso della natura: capaci di conoscere il sistema dell'universo e di imitarne qualcosa attraverso saggi architettonici; ogni spirito essendo come una piccola divinità nel suo dipartimento.

§ 84

È questo che fa sì che gli Spiriti siano capaci di entrare in una sorta di Società con Dio, e che Egli sia nei loro confronti non solo ciò che un inventore è alla sua Macchina (come Dio lo è in rapporto alle altre creature), ma anche ciò che un Principe è ai suoi sudditi, e persino un padre ai suoi figli.

§ 85

Da cui è facile concludere che l'assemblea di tutti gli Spiriti deve comporre la Città di Dio, cioè lo Stato più perfetto possibile sotto il più perfetto dei Monarchi.

§ 86

Questa Città di Dio, questa Monarchia veramente universale è un Mondo Morale nel mondo Naturale, ed è ciò che c'è di più elevato e divino nelle opere di Dio: ed è in esso che consiste veramente la gloria di Dio, poiché non ce ne sarebbe alcuna se la sua grandezza e la sua bontà non fossero conosciute e ammirate dagli spiriti; è anche in rapporto a questa Città divina che Egli ha propriamente della Bontà, mentre la sua saggezza e la sua potenza si mostrano ovunque.

§ 87

Come abbiamo stabilito sopra una Armonia perfetta tra due Regni naturali, quello delle cause Efficienti e quello delle cause Finali, dobbiamo qui notare ancora un'altra armonia tra il regno Fisico della Natura e il regno Morale della Grazia, cioè tra Dio considerato come Architetto della Macchina dell'universo e Dio considerato come Monarca della Città divina degli Spiriti (§ 62, 74, 118, 248, 112, 130, 247).

§ 88

Questa Armonia fa sì che le cose conducano alla Grazia attraverso le vie stesse della Natura, e che questo globo per esempio debba essere distrutto e riparato per vie naturali nei momenti richiesti dal governo degli Spiriti; per il castigo degli uni e la ricompensa degli altri (§ 18 sqq., 110, 244-245, 340).

§ 89

Si può dire ancora che Dio come Architetto soddisfa in tutto Dio come legislatore; e che così i peccati devono portare con sé la loro pena per l'ordine della natura e in virtù della stessa struttura meccanica delle cose; e che similmente le belle azioni si attireranno le loro ricompense per vie meccaniche rispetto ai corpi; sebbene questo non possa e non debba accadere sempre immediatamente.

§ 90

Infine sotto questo governo perfetto non ci sarebbe alcuna buona Azione senza ricompensa, nessuna cattiva senza castigo: e tutto deve riuscire per il bene dei buoni; cioè di coloro che non sono scontenti in questo grande Stato, che si fidano della Provvidenza, dopo aver fatto il loro dovere, e che amano e imitano, come si deve, l'Autore di ogni bene, compiacendosi nella considerazione delle sue perfezioni secondo la natura del puro amore vero, che fa prendere piacere nella felicità di ciò che si ama. È questo che fa lavorare le persone sagge e virtuose a tutto ciò che appare conforme alla volontà divina presuntiva o antecedente; e contentarsi tuttavia di ciò che Dio fa accadere effettivamente attraverso la sua volontà segreta, conseguente e decisiva; riconoscendo che se potessimo comprendere abbastanza l'ordine dell'universo, troveremmo che supera tutti i desideri dei più saggi, e che è impossibile renderlo migliore di quello che è; non solo per il tutto in generale, ma anche per noi stessi in particolare, se siamo attaccati, come si deve, all'Autore del tutto, non solo come all'Architetto e alla causa efficiente del nostro essere, ma anche come nostro Maestro e causa finale che deve costituire tutto lo scopo della nostra volontà, e può solo fare la nostra felicità (Préf. *, 4 a b14. § 278. Préf. *, 4 b15).

FINE

14 Edit. Erdm., p. 469.
15 Edit. Erdm., p. 469 b.


Luna

Filosofia Cosmica

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